David Gauntlett, britannico autore del bestseller Making is connecting, propone un cambiamento culturale dal consumismo passivo alla produttività attiva. Il senso è: non rimanere plagiati ma creare da soli una propria visione del mondo.
Ieri parlavo con un collega che giustamente mi faceva notare come talvolta sia meglio essere dalla parte dei pochi che dei tanti. Perché ci si distingue, si è diversi. E spesso i pochi sono avanguardia.
Perché queste riflessioni? A Verona, dove vivo da qualche mese oramai, sto notando un generale movimento di giovani che hanno buone idee innovative e sono produttori attivi di una nuova mentalità imprenditoriale. Esperienze embrionali, d’accordo. Ma esistono e fatturano. In queste colonne del blog ho già citato il caso del Canarin, spazio dismesso nel comune che oggi ospita giovani e imprese del manifatturiero come www.reverselab.it.
Sì, perché nonostante Francesco Giavazzi sostenga che anche l’Italia deve riuscire a produrre un Iphone per competere con le economie avanzate, il buon Giovanni Bonotto che ha fatto della sua fabbrica lenta di Molvena un ‘must’, ricorda a tutti che noi siamo figli di Giotto e non di Bill Gates. Quindi? Investiamo nella cultura e nel saper fare.
Torniamo a Verona. Oggi volevo raccontarvi il caso di Lino’s Type. Lino è un tipografo in pensione con tanto di laboratorio e macchinari, ovvero Linotype. I giornalisti le conoscono bene, ma non solo. La storia è piena di anonimi ma fondamentali ‘pianisti’ che hanno contributo alla stampa dei quotidiani. Ebbene oggi Lino’s type (http://www.linostype.com/) è un’azienda grazie a giovani 26enni, senza lavoro, che hanno deciso con umiltà e pazienza di imparare un’antico mestiere ma di essere produttori attivi loro stessi, innovando. Alla stampa di piombo ‘fuso’ si unisce oggi la tecnologia digitale. Il connubio è unico.
Non solo. Nella vecchia officina è nato The fab http://thefab.org/. Iscrivetevi alla newsletter e provate ad entrare nella rete che vi porterà a conoscere i nuovi imprenditori under trenta che popolano capannoni e scuole dismesse producendo ricchezza. In the fab gravitano varie start up sempre della manifattura ad alto contenuto di design (ve ne cito una che adoro perché ispirata a un film poco conosciuto di Audrey Hepburn: http://quelledue.com/). Ma per capire che mole ha la rete dovete fare un salto qui: http://www.benfatto.org/ (perché è lo stile e la bellezza che fa la differenza del nostro made in Italy) e soprattutto qui: http://www.uncomag.com/, perché la rete oggi è fondamentale. E anche la comunicazione.

Per capire com’è nata l’idea, dovreste fare due chiacchiere con @alessiosartore, classe 1981, editore in partenza per Singapore per arricchire le sue competenze. Uncò Mag, dove «uncò» nel dialetto padovano significa «oggi», è una piattaforma-network di marketing e buone esperienze che dà senso al progetto di The Fab. Sottotitolo: «Cerchi lavoro? Leggi le storie di chi se n’è inventato uno». Il format nasce a febbraio di quest’anno e si propone come uno spazio aperto per far raccontare i diretti protagonisti, in forma di intervista (una al giorno), ai lettori che transitano sul portale grazie a social network e passaparola (ogni intervistato suggerisce l’interlocutore successivo). Le loro storie di successo (che coprono l’intera Italia) sono soprattutto artigianali e ad alto contenuto creativo-innovativo.
Colpiscono le foto e l’assenza di titolo (ogni imprenditore è caratterizzato da nome-cognome-località). Il tutto diventa un puzzle di casi da curiosare avidamente e assorbirne le ricette di buona impresa. Il format, rodato e forte di 3mila contatti Facebook raggiunti in soli tre mesi ora è pronto per essere esportato. Dove? «Ovunque il meccanismo di interviste sul lavoro e le passioni che han portato a scegliere un certo stile di vita possano aprire nuove strade». L’obiettivo? «Mostrare a chi non ha ancora scelto che esiste una via causale eppure casuale. Una strada» spiega Sartore.
Ascoltandolo m’è venuto da sfogliare un ‘vecchio’ e caro libro letto più di un anno fa. «Chi cade è stato in alto, il che dovevasi dimostrare, e chi mai fu così folle?» scriveva Eugenio Montale in Diario del ’71 e ’72. Citazione ripresa a distanza di quarant’anni da Mario Calabresi che, in piena crisi, decise in un libro di dare spazio e racconto a storie di dieci italiani che non hanno mai smesso di credere nel futuro. «Cosa tiene accese le stelle» titolava allora il direttore de La Stampa. E anche noi, adesso, abbiamo bisogno di «tenere accese le stelle». Come farlo, è una domanda a cui stanno provando a rispondere in molti. Queste sono alcune strade che (a me) sanno di buono.
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